Vita e morte di un Sámi

L’autore

Eero Niilo Manninen (1893-1944) è stato scrittore, commissario, tenente nel battaglione cacciatori durante la prima guerra mondiale e membro del comitato consultivo finlandese-norvegese per l’allevamento delle renne negli anni 1933-35. Le conoscenze approfondite acquisite durante la sua carriera si riflettono nelle sue opere, dedicate prevalentemente ai Sámi, l’unico popolo indigeno dell’Europa. Il suo stile è crudo ma raffinato, pessimista ma a tratti umoristico e si concentra prevalentemente sulle dure condizioni della vita in Lapponia nelle prime decadi del XX secolo, pervase da un sentimento di solitudine e contemplazione malinconica.
Oltre ad articoli su riviste e giornali, ha pubblicato Tunturi uhkaa (La minaccia del monte, 1938), Erämaan armoilla. Entisen Inarin ja Petsamon kairaa (In balia della natura selvaggia. La distesa desolata di Inari e Petsamo, 1937), Unkka Manni, Lapin mies sotatiellä (Unka Manni, un uomo della Lapponia sulla via della guerra, 1939), Erään miehen sota. Rajan romaani (La guerra di un uomo. Romanzo di frontiera, 1940), Saattoi olla miehen onni (Potrebbe essere stata la sua fortuna, 1943). 

 

I testi

Il Teno è un fiume ampio e possente (…) a monte si snoda tra la sabbia, a valle tuona tra le cascate. Raggiunge il Mar Glaciale lentamente, esausto dal lungo viaggio. Demarca il confine tra due Paesi, con un corso di trecento chilometri, dividendo anche lo stesso popolo in due: da una parte i “Lapponi”, dall’altra i “Sámi”. Nel tratto centrale e più profondo del fiume corre il confine tra le due terre, invisibile all’occhio. Lungo entrambe le sponde, la gente parla la stessa lingua. Sono un unico popolo, sebbene diviso da un corso d’acqua freddo che scorre sotto le loro abitazioni.

E.N. Manninen

Vita e morte di un Sámi

Cura e traduzione dal finlandese

di Antonio Parente

Volume pubblicato con il contributo di

ISBN-13: 978887536558-5

2024

pp. 186

cm 13 x 20,5

€ 17,00

4.

Il viaggiatore straniero chiede quando spunterà il mattino sulle montagne più lontane e più alte, quando il giorno si illuminerà, quando sorgerà il sole… A dicembre, tuttavia, il sole non spunta, il giorno non si schiarisce, c’è solo un imbrunimento tra le due notti. Il mattino arriva quando il cielo albeggia a est e i contorni delle alte montagne si scuriscono, mentre l’eco delle risate delle pernici bianche riecheggia dai pendii innevati.
Maareh’Ant riesce a dormire senza essere disturbato dal loro verso? È come se il cacciatore non percepisse il richiamo delle sue prede, ma si accoccolasse ancor più nella sua pelliccia. I lacci, posizionati tra i rami delle betulle e gli arbusti di salice, sono pronti a scattare per imprigionare gli uccelli bianchi che zampettano sulla coltre, si dilettano nella penombra e si apprestano a spiccare il volo dai loro giacigli nevosi. Che cosa ci farebbe ora Maareh’Ant lì fuori? Durante il giorno c’è abbastanza tempo per controllare le trappole, raccogliere le prede catturate e risistemare i lacci. Anche per un sámi, dolce è il sonno mattutino.
È solo quando il silenzio cala di nuovo sui dintorni della capanna, quando la giornata invernale comincia a oscurarsi, quando si sente il verso roco della cinciallegra che becca il sego rimasto sulla pelle della slitta, che Maareh’Ant apre la porta della capanna per vedere che tempo fa.
Con l’arrivo del mattino, il cielo si è annuvolato. Una densa nebbia è scesa a metà delle montagne e si è depositato un sottile strato di neve. Non vi è alcuna traccia del disgelo.
Maareh’Ant esce dal rifugio, si sveste la pelliccia e la lancia sulla neve davanti alla capanna. Si stiracchia, si dirige dietro la casetta per i bisogni, tornando poco dopo, sbadiglia mentre osserva una cinciallegra che si muove tra le betulle. Questo animale non gli è gradito, in quanto crede che il volatile sia sempre foriero di qualche piccola disgrazia per il cacciatore, anche se non insormontabile. A volte la pernice è riuscita a spezzare il laccio e a fuggire, oltre volte ha evitato la trappola passandoci sotto. La cincia sembra prevedere sempre questi piccoli contrattempi, ne è convinto. Ora vediamo cosa accadrà. La presenza della ghiandaia, invece, cambia le cose: è l’uccello portafortuna. Quando vola intorno alla capanna o lungo le tracce degli sci, la giornata non sarà mai sprecata.
Ant raccoglie un pezzetto di legno e lo lancia verso la cinciallegra, non con l’intento di colpirla, ma per allontanarla dalla sua vista.

Si avvia sugli sci verso la sua preda, ripercorrendo le sue stesse orme; i lembi della giacca tradizionale svolazzano, gonfiandosi nella parte anteriore come se nascondessero un pancione enorme. Indossa gambali di pelle di renna, cuciti da Magga, che mostrano segni di usura e rattoppi. Anche le sue scarpe tipiche, con la punta rialzata, realizzate dallo stesso materiale e foderati di fieno, sono opera della moglie. Il berretto è bordato di pelliccia di lontra, e termina in cima in un sacchetto di panno da cui si dipartono quattro punte svolazzanti. Sopra l’orecchio sinistro, ondeggiano delle strisce rosse, e altre dello stesso colore decorano la schiena, le spalle fino ai gomiti e il colletto fino alle orecchie. In effetti, il rosso è abbastanza scolorito, per via del fumo della capanna, delle tempeste e del sole. E così Maareh’Ant si dirige verso la preda, un bastone di betulla nella mano e sul fianco il coltello sámi, forgiato dal celebre Jum-pal’Johan, il miglior fabbro della Lapponia.
Ant va forse a controllare il bottino di Natale? Ebbene sì, anche in un giorno di festa è possibile compiere il lavoro che l’amore cristiano o la necessità richiedono. Dopotutto, liberare la pernice da un laccio soffocante è un atto di bontà cristiana. La necessità non ammette rinvii.
[…]

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