Poema inconcluso

L’autore

Si legga il breve ritratto che Gabriel Ferrater offrì di se stesso: «Nacqui a Reus, il 20 maggio del 22. Gli altri fatti della mia vita sono di più incerta descrizione e più difficili da datare. Mi piace il gin con il ghiaccio, la pittura di Rembrandt, le caviglie giovani e il silenzio. Detesto le case dove fa freddo e le ideologie».
A Reus, nel Baix Camp, la famiglia possedeva una masseria nel bosco di Picarany. Frequentò la scuola irregolarmente. A causa della guerra non ottenne il baccalaureato. Dai tredici anni legge i francesi (Stendhal, Flaubert, Baudelaire, Verlaine) in versione originale. Gli anni della guerra civile sono rievocati nel poema In memoriam. Negli anni 1938-1941, la famiglia si trasferisce a Bordeaux, dove il padre è stato nominato cancelliere del consolato. In Francia trascorre tre anni scolastici e frequenta vari licei. Legge Montaigne, Valéry, Racine, Gide, Proust, ecc. Impara a leggere in tedesco e in inglese. Nel 1943, per due anni e mezzo, presta servizio militare fra Tarragona e Barbastro. Finisce il liceo soltato nel 1947, poiché gli studi compiuti in Francia non gli erano stati convalidati, e s’immatricola alla facoltà di Scienze esatte. Durante un viaggio di lavoro a Madrid e una visita a El Prado, nasce l’interesse per la pittura cosicché entra in contatto con vari pittori di Barcellona, comincia a scrivere interventi di critica d’arte sulla rivista “Laye” e lui stesso prende a dipingere.
Dal 1950, in seguito alla morte del padre, si trasferisce stabilmente a Barcellona con la madre. Per la necessità di guadagnarsi la vita, abbandona gli studi e comincia a lavorare come traduttore, lettore, editore per varie case editrici, soprattutto, però, per Seix Barral. Entra in contatto e amicizia con i principali poeti catalani (Carles Riba, Eduard Valentí, Rosa Leveroni, Joan Vinyoli e altri).
Nel 1958 distrugge il diario di aforismi che aveva scritto fra il ’54 e il ’57 (ne sono sopravvissuti ben pochi) e comincia a scrivere poesie. Il primo libro Da nuces pueris esce nel 1960, seguito nel 1962 da Menja’t una cama. Trasferitosi prima a Parigi, poi  a Londra, e infine ad Amburgo,  avvia il suo interesse per la linguistica. 
Nel 1966 esce il terzo libro di poesie Teoria dels cossos. Rientrato a Barcellona, nel 1969 prende a insegnare Linguistica generale e critica letteraria all’Università Autonoma. Il 27 aprile 1972 si suicida nel suo appartamento di Sant Cugat con sonniferi e una borsa di letame in testa.

 

I testi

Il qualificativo di inconcluso (in catalano inacabat) del titolo, ci confronta con una narrazione non riuscita, con un fallimento poetico. Quella di questo moncone di poema è però un’inconclusività costitutiva. Il registro narrativo del poema non è dissimile da quello di altri componimenti ferrateriani di minori dimensioni, in cui la narrazione si autogenera scorrendo di pretesto in pretesto senza soluzione di continuità, concresce su se stessa, verso dopo verso, in una digressione pressoché continua e idealmente infinita… rispetto alla quale il racconto che si promette di raccontare può sempre attendere.

Gabriel Ferrater

Poema inconcluso

Cura, note e traduzione dal catalano
di Pietro U. Dini

Consulenza madrelingua
di Albert Lázaro-Tinaut

ISBN-13: 978887536483-0

2022

pp. 112

cm 13 x 20,5

€ 16,00

Poema inconcluso

Colui il quale scocciò quell’allocco
di Garcés e il rachitico Teixidor
quando scrisse i suoi primi poemi,
vedrete che senza rettifica vi insiste.
Voglio raccontare una storia impertinente,
però la lascerò per dopo
e piuttosto allungherò il mio prologo.
Lo riempirò di genti e cose
e d’affetti. Dirò che sono
a Cadaqués, in pieno melato
e assopito mese di settembre
(quando scarseggiano le iperboree
Femmine) del Sessantuno,
con brezza marina senza ricorso
(solo che stamattina par che giri
a tramontana e mi spaventa
il freddo che passeremo,
benché sarà tersa l’aria
e tersa anche l’acqua: mi soddisfa
di più quand’è sporca e ben calda).
La dedica verrà per prima.
A te, o Helena, che m’hai fatto
conoscere Chrétien che imito
(solo che io non rimo del tutto),
donna esordiente, che sei partita
con la gonna di terital
e il maglione verde, a dare
un’esame proprio sul Chrétien
di cui parlavamo, tanto vivacemente
e le sue parole e i suoi argomenti
(oh Dio, come rinnegherebbe lui
se sapesse che su Erec ed Enide9
voi ne avrete di esami da dare!)
li facevi valere per cantare
(un trionfo di gallo t’accendeva)
la passione con cui scoprivi
che le cose volute
e che alcune da te ottenute
sono vecchie come le vecchie favole
e molto più vecchie degli esami:
a te, o Helena, che ora apprendi
a vivere (dì, mi permetti
che venga a lezione con te, e che mi sieda
accanto a te, finché non mi caccino?),
che, libera dagli esami, domani
all’una, vedremo scendere
dall’autobus, a te, o Helena,
voglio offrirti questo poema.
Non mi spaventerebbe affatto
che fosse petroso e aspro,
ma giacché è tuo, e tu raffinata,
con la lima lo ripasserò,
guarderò che la parola e il verso
non pensino d’aver diritto
a una vita d’esuberanza
lontano dalla mia sorveglianza.
Sarà il mio scopo, esattamente,
il diritto a divenire indipendente,
però sarà il diritto delle figlie
che io non ho. Le mie rime
voglio che obbediscano senza ambagi.
Quando abbia fissate ben corte le parole,
patriarca compiacente,
mi concederò ogni licenza.
Sarò cursorio e digressivo,
anacolutico e allusivo.
Farò liste di cose buone
e di cattive, nomi di ragazze:
per esempio la Maribel
che quest’anno ha sfoggiato il fidanzato
e deve aver gusto di limone.
So bene cosa dico e questa è la forma
che ho deciso di seguire.
Forse il solo fine di ciò che scrivo
è il mio proposito di plagio.
Voglio che tutti subito s’accorgano
che copio i medievali.
Sempre l’ho fatto e dichiarato
e sempre ho visto che non se lo credevano.
Ingenui che sono. Noi poeti,
è ben certo che siamo mentitori,
ma prima e ancor più
è certo che siamo egoisti.
Conta che non diremo menzogne
di noi stessi. La verità
ci sembra più interessante
perché ci porta dentro.
Sono un poeta medievista,
è dunque conclamato,
e lasciami ora salutare
i fedeli dell’età medievale
che non sognano cavalcate
né liocorni né saraceni.
Di cavalieri, non ne ho visti mai.
Ancorché il suo Medioevo
che è parecchio moreasiano
non me lo credo, Josep Carner,
che ci ha formati tutti noi,
ed è a Bruxelles grigia d’acqua,
reclama il mio primo omaggio.

[…]

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