Ospedale degli Innocenti
(1985-1987)

L’autore

Santiago Montobbio (Barcellona, 1966) è stato pubblicato per la prima volta come poeta nella «Revista de Occidente» nel 1988, e il suo primo libro, Hospital de Inocentes (1989), si è già guadagnato il riconoscimento spontaneo di illustri autori (Onetti, Sabato, Vilariño, Delibes, Cela, Martín Gaite, Valente, tra gli altri). La sua vasta opera poetica, tradotta in un gran numero di lingue, ha raggiunto una diffusione, un riconoscimento e un’importanza internazionali. Nella sua prolifica carriera, spiccano i suoi libri pubblicati da El Bardo: La poesía es un fondo de agua marina, Los soles por las noches esparcidos, Hasta el final camina el canto, Sobre el cielo imposible, La lucidez del alba desvelada, La antigua luz de la poesía, Poesía en Roma, Nicaragua por dentro, Vuelta a Roma e De infinito amor I e II.

I testi

Un titolo come Hospital de Inocentes (1985-1987) non è un paradosso. L’innocenza non è direttamente sinonimo di salute, né la implica necessariamente. Un titolo come questo, tuttavia, delinea il paradosso dal momento in cui la combinazione di queste due parole esprime un contrasto. L’innocenza può essere definita come la salute dell’anima e un ospedale può essere identificato come una prigione dove il corpo sconta letteralmente una pena non dettata dagli uomini «l’ingiusta / prigione dei giorni, che fa marcire la piccola carne dei sogni» (L’inchiostro su questo foglio è l’inchiostro definitivo). Ospedale per i sani e prigione per gli innocenti sono titoli che si intersecano, e dove l’innocenza è insinuata come la malattia per eccellenza.
Innocenza e malattia. In questo libro, la giovane poesia di Santiago Montobbio (Barcellona, 1966) propone il pessimismo come unica forma possibile di salute, i sogni come errori che portano immancabilmente alla sofferenza, dal sogno d’amore a quello dei romanzi incompiuti delle estati giovanili; come forme di inganno sconsigliabili perché antiterapeutiche. E così denuncia nelle sue poesie, come strategie malsane e false, «la follia di credere che noi siamo gli altri / quelli che fatalmente devono essere sempre gli stessi» o «i trucchi adolescenziali / con cui ancora fingiamo di credere / che stiamo facendo felice l’altro» (Cinque o simili inganni).
In tutto il libro c’è un desiderio di smascherare i trucchi, gli alibi, le bugie della realtà, che si manifesta sia nella materia scelta ‒ i valori fondamentali o i cliché su cui si basa l’esistenza ‒ sia nel tono basso del poeta stesso, nella scelta di un linguaggio realistico che non è per nulla esente da lirismo, e nelle forme elaborate e levigate.

Santiago Montobbio

Ospedale degli Innocenti (1985-1987)

ISBN-13: 978 88 7536489-2

2022

pp. 112

cm 15×20,5

€ 16,00

 

Ospedale degli Innocenti

 

Il foglio bianco non è mai solo un foglio bianco:

parlarne è facile, ma non il dire ‒ ed è vero ‒

che la pagina nella più profonda solitudine consumata

è la vita senza versi o piena di poesie che nessuno,

incluso tu, sarà mai in grado di scrivere.

Perché posso avere un amore, un’ombra e un oblio,

e più di questo avrò un modo

per ferirmi, fino alla fine e nella notte

un modo per affinare la mira

per rovinarmi e inseguirmi

attraverso la caccia estenuante e molto strana

dove sono arma e al contempo preda.

 

* * *

 

Altre notti

 

Passeranno altre notti, senza rimedio e somiglianti.

Potrai ripetere gesti e risate già vuote

seduto al bancone di un bar ancora più vuoto,

circondarti di amici distaccati verso l’oblio

e raccontarti una barzelletta identica alle altre

che a qualcuno continuerà a divertire

anche se mai ti ha strappato una risata.

Potrai guardare di nuovo il tuo viso lento e invecchiato,

a ragazze sconosciute prodigare ‒ già prima di partire ‒

le stesse frasi risapute

e fare anche finalmente e da mari oscurati dall’alcool

lo sforzo già così faticoso di cercar di ricordare

in quale buco nascosto di quale strada hai parcheggiato la tua auto.

E, se lo vuoi ancora, pensare che passeranno altre notti

con i suoi quadri solo apparentemente dipinti in altro modo,

ma mai davanti al bicchiere che con tremore crescente reggi

né meno nell’assurda fotografia che agli altri offri

avere l’indecenza di dimenticare la servitù

‒ di ferro freddo e, perché non confessarlo, un po’

e per abitudine già amato zucchero ‒

di dover assomigliare in ogni angolo del tuo corpo

e in qualsiasi notte di questo o altro tempo

a te stesso senza rimedio né desiderio espresso.

 

* * *

 

Storia vera

 

Scesi dal sogno, dal sole e dalla paura.

Scesi e continuai a scendere. Non c’era niente.

Volevo tornar indietro. Ma nella discesa

avevo dimenticato come risalire ancora

all’infanzia del primo verso.

E così (ragazzi e ragazze) sono rimasto solo,

da nessuna parte re e nella mia notte

da nessuno abbandonato. E questa sola

storia vera è il poeta.

 

* * *

 

Vita sentimentale

 

Troppi modi di interpretare la pioggia

offrono i film; troppi modi, troppi occhi

e del tutto eccessiva quella facilità da cartolina ridicola

con cui a metà tra il bere e il fumare

i gesti mascherati di un’immagine

pesano, macinano, assorbono e gestiscono

distanza di ragazza; eccessiva e anche ridicola, questo,

è più o meno quello che mi dico

quando ripasso il manuale degli addii della mia vita

e da questo capisco che è completamente vero

che non suicidarmi è qualcosa che mi ha sempre affaticato,

non suicidarmi – assenza, clinica e altri patetici

ritratti deformati – è stato per me in verità

il grande compito quotidiano

e a causa dell’afonico bagaglio

che il tempo mi ha imposto con clemenza

a questo punto potrei solo laurearmi

con un assurdo elenco di incertezze che mostrasse

a quali estremi rovinosi la goffaggine può portarci

se da sempre ha dominato

l’espressione degli affetti.

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