Diario di una principessa ebrea

L’autore

Saulius Šaltenis vive e scrive a Vilnius. È nato nel 1945 nella cittadina di Utenà, nel nord-est della repubblica. Nella capitale svolse studi irregolari e, dopo il servizio militare nell’esercito sovietico, s’impiegò presso il Collegio lituano di scenografia cinematografica.
Nel generale fermento identitario che percorse la Lituania e l’intero Baltico orientale alla fine degli anni Ottanta del Novecento, Šaltenis svolse un ruolo attivo dapprima nel Sąjūdis lituano e poi assumendo importanti cariche politiche. È stato firmatario della Dichiarazione d’indipendenza dell’11 marzo 1990 e tra i fondatori (e primo redattore negli anni 1990-1994) del noto settimanale di cultura Šiaurės Atėnai (L’Atene del nord).
Ministro della cultura (1996-1999), ha ricevuto molti riconoscimenti letterari ed è uno di quegli scrittori che ha significativamente modernizzato la prosa lituana.

I testi

Il Diario di una principessa ebrea tratta fatti complessi, intricati e anche scabrosi della recente storia lituana, avvenuti durante la seconda guerra mondiale. Fatti secretati e rimasti a lungo ‘proibiti’, sui quali si è tornati, all’inizio del nuovo millennio, soprattutto in letteratura.
Il romanzo appartiene alla produzione più recente di Saulius Šaltenis, scrittore dall’ampio bagaglio culturale, flessibile nel pensiero, interiormente libero.
Con lo stile di una sceneggiatura cinematografica, l’autore narra la vicenda della giovane Ester Levinsonaitė, la cui storia scorre come sul grande schermo: tragica e tenera fin dall’inizio, fra mille difficoltà, e parallelamente all’occupazione nazista della Lituania, la persecuzione e lo sterminio degli ebrei, l’arrivo dell’Armata rossa, la resistenza armata lituana dei “Fratelli del bosco” e quant’altro allora avvenne…

Saulius Šaltenis

Diario
di una principessa ebrea

Traduzione dal lituano
 
 
 
 
di Pietro U. Dini
 
 
 

ISBN-13: 978887536433-5

2019

pp. 152

cm 13 x 20,5

€ 17,00

La commemorazione del 14 giugno

14 giugno 1943. Tre anni da quel giorno che per la prima volta mi ubriacai e deportarono i miei genitori in Siberia. Chiedo perdono. Il giornale è pieno di terribili fotografie di lituani assassinati a Rainiai e di polacchi riesumati dai tedeschi a Katyń. In quel momento capii come doveva apparire mia sorella e come anch’io avrei giaciuto, nera e senza volto. Mi vennero meno le gambe e presi a guaire per la tanta voglia di vivere che mi era venuta.

– Davvero io non posso morire, io sono già morta una volta, ormai mi sono completamente disabituata a morire. E poi perché io? – domanda Elisa, sollevando il capo dal suo diario.

Oh, morte… Nessuno può sfuggire al tuo sguardo che irrigidisce! Tutti fanno i furbi, fanno perdere le tracce. Ma tu li riconosci e scegli quelli che provano a sfuggire alla morte: polacchi, lituani ed ebrei. Tu segui le mie orme.

– Dopotutto io non sono Ester, sono Elisa, sono solo una piccola ragazzina, alla quale inaspettatamente si fermò il cuore e tu, o morte, fermati vicino alla sua vera tomba. Convinciti che io sono davvero morta e disperdi le mie tracce… Poiché io amo, desidero vivere, prima ero soltanto un topolino solitario nel divano che non serviva a nessuno.

Cuocevamo il pane. Milda mi pettinava i capelli. Di notte rincalzavamo le patate, pulivamo i solchi dalle erbacce. Icik sradicava i germogli delle barbabietole rosse. In quell’occasione scrissi la poesia “Luna, sole degli ebrei”.

Elisa richiude il suo diario segreto. Tutto è tranquillo, riscalda un caldo sole estivo. Dopo aver ordinatamente sistemato nell’erba le sue scarpette dai tacchi consumati, rannicchiata sul divano ad occhi chiusi, Elisa, ormai sonnecchiando, dice placidamente:
– Isolda, quali sciocchezze mi ricordi… ma è davvero importante ora? No, io non mi sono mai baciata con te con la lingua… Forse ci ho provato? No, non credo proprio. Tu non hai nemmeno la bocca.
Ho giusto sentito dire che Lia rideva con un’amica perché così piace baciarsi alle francesi… Io non sono francese, smettila, Isolda, vergognati…

 

* * *

 

Autunno 1945. Compleanno di Elisa.
Anno ebraico 5706.

Milda inginocchiata, tenendo un ago in bocca, raddrizza il vestito di una donna e domanda:
– Signora Kazimiera, quanto vuole che glielo accorci? Due dita o tutto il palmo?
– Tutto il palmo – dice la signora Kazimiera, guardandosi nel grande specchio del salone.
– E le spalline, devo forse alzarle un po’? Magari ci cuciamo dei cuscinetti di cotone?
– Sì, d’accordo… Però ho una spalla più scesa – dice la signora Kazimiera e dopo un po’ aggiunge – per il lavoro… Tutto sulle mie spalle… ora mio marito a casa è come una luna nuova. Gli hanno rifilato un timbro e l’hanno nominato direttore di distretto. E a mio figlio Viktoras potrete cucire una giacchettina e dei pantaloni?
– Certo che potremo – dice Milda – prendi le misure al ragazzo, principessa.
Un adolescente di tredici forse quattordici anni, timido come se fosse in chiesa a ricevere la prima comunione, guarda Elisa quando gli passa il metro sulle spalle, lungo le braccia e misura l’ampiezza del bacino.
– Principessa è il nome della sua ragazza? – domanda la signora Kazimiera.
– No – dice Milda – si chiama Elisa, ma io e mio marito la chiamiamo così.
– Ah, ecco – dice la signora Kazimiera – è proprio simile a una principessa… le manine e le dita sono sottili. Troppo graziosa per i lavori di campagna. Chissà, forse sarebbe una buona sposa per il mio Viktoras.
E Viktoras a quel punto arrossisce perché viene menzionato e perché Elisa, china, misura la lunghezza delle sue gambe, dal tallone fino al punto vita e la parte interna delle gambe, dal piede fino al cavallo.
Elisa si appunta su un pezzetto di carta le misure di Viktoras e poi nella sua stanza le ricopia nel quaderno di cucito con ritagli di vestiti, giacchette e pantaloni disegnati.
La signora Kazimiera se ne va dopo aver lasciato del burro, del formaggio e qualche banconota russa sgualcita.
Elisa chiude un cassetto, ma poi lo riapre, prende il certificato di nascita che giace sul fondo e poi gli mette accanto delle fotografie sue e della ragazzina morta presto: entrambe vestono una giacchina alla marinara e abitini simili, con i calzettoni fino al ginocchio.
– Siamo diventati ricchi – dice Milda. – E sulla scatola d’oro ci sono i costumi da recita del nonno di Vladas. Da vent’anni, circa una recita l’anno. Li adatteremo, se occorrerà, e li venderemo. Non è che per questo ci metteranno in prigione come Elena?
Milda siede accanto alla macchina per cucire Singer, solleva il capo e domanda:
– Cos’è successo, principessa? Perché mi guardi in modo così strano?
– Nulla. Oggi è il compleanno di Elisa.
– Me ne sono proprio dimenticata, non ho nessun regalo – si profonde in scuse Milda.
– Oggi non è il mio compleanno, ma di quella piccola ragazzina, alla quale si è fermato il cuore… è il compleanno di quella Elisa.
– Il mio e quello di Vladas è in gennaio… In quell’occasione prepariamo sempre la torta di lamponi. Oh, Dio, non abbiamo festeggiato il tuo compleanno neanche una volta. Perché mai? Perdona, principessa, non ci ho proprio pensato… In verità non so quando sei nata. Intendo te, non quella ragazzina morta…
– Ester nacque in primavera… alla vigilia della festa di Purim-Ester – dice Elisa. – Ma io ormai non sono più Ester. E Elisa non si ricorda quasi nulla, solo del suo battesimo… Ma Ester si ricorda sempre del tragitto fino alla fossa degli ebrei… Io non so più chi sono… Come se non fossi mai nata… Non so come continuare a vivere.
– Ma tu… – dice Milda confusa – tu sei nata… hai detto… Lo sai quando?
– Se lo so, quando sono nata? Sono nata, quando Milda mi sollevò nuda e insanguinata e… e… – Elisa all’improvviso salta su e corre all’aperto e poi per il viale di tigli, così com’era, con il metro al collo e il quaderno delle misure in mano.
Milda esce sulla veranda e rimane a guardare con un palmo posato sulla bocca. Nello spiazzo fra i cespugli Elisa crolla sul divano.
– Taci, Isolda – dice alla testa lignea di donna sullo schienale. – No, non digiunerò più come Ester, non aiuterò più nessuno. Sono già morti tutti, tutti già salvati. Dio, come potrò aiutare me stessa? Muoio di nostalgia. Milda sedeva alla macchina per cucire ed io avrei voluto baciarla, baciarla, coprirla di baci, mi sono a stento trattenuta. Ho avuto spavento e sono fuggita… Poiché lei mi allontanerebbe, direbbe, ma cosa sbaciucchia questa ebreuccia? Cos’altro vuole ancora? Ha tutto, vive come una principessa.

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