Come una madre

L’autore

Andrea Pellegrini (Lucca 1971) vive a Massa e Cozzile in provincia di Pistoia.
È insegnante di Lettere.
Ha pubblicato il romanzo Lettera dalla Norvegia (Fara, 2006) che ha ottenuto il Premio speciale Santa Margherita Ligure – G. Pontiggia 2006.
Come una madre è il suo secondo romanzo.

I testi

Un grande condominio per le vacanze. Le colline e le spiagge dell’isola d’Elba. Una dozzina di personaggi, protagonisti di quasi altrettante storie sparse lungo le pagine, tessere che alla fine si uniscono in un puzzle compiuto e sorprendente. Carlo Nobile ha due vite. Per undici mesi l’anno, in città, è uno studente fuori corso che si sforza di pensare al futuro insieme alla fidanzata storica, Anna. Luglio, invece, lo passa da sempre al residence “Gabbiano”. È lì che può essere se stesso: animo da poeta, fotografo in completa sintonia con la natura e in perenne polemica con la civiltà. In una giornata di fine anni Novanta, però, sembra che tutto sia vicino alla fine, che stia per chiudersi un’epoca. Molti indizi suggeriscono che ci troviamo di fronte a eventi chiave: una strana nuvola rossa, una ragazza scomparsa, un mistero chiuso dietro alla porta di un appartamento, il progetto di un omicidio e, soprattutto, un cadavere. A lato di un intreccio avvincente, in questo romanzo corale emergono alcune figure materne, diverse fra loro ma accomunate dall’ostinata volontà di guidare il destino. E, da madri, per farlo sono pronte a compiere azioni definitive.
Andrea Pellegrini racconta una giornata che segna molte vite e gioca con il lettore, facendo intuire più soluzioni agli enigmi, per rivelare alla fine che tutto ciò che sembra, come spesso accade, non è.

Andrea Pellegrini

Come una madre

ISBN-13: 978-88-7536-183-9

2008

pp. 172

cm 13*20,5

€ 15,00

[…]

È una figura alta quella che con grandi occhiali scuri entra nella visuale della signora Vassalli.
Quella figura si stacca proprio adesso dalle cabine bianche e azzurre con una borsa di Ralph Lauren. Manici lunghi. E cammina con leggerezza.
Elena?
È da sola?
La Bertani continua a parlare e adesso lei non sente più una parola. Mentre finge di ascoltare, sta controllando la riva, le cabine, le vetrate del ristorante. Che ci sia anche quel tizio? Quel chitarrista. Daniela guarda meglio, sente imperlarsi la fronte. “Che stupida! Che stupida!”. Sono le undici e trentacinque del nove di luglio. A quest’ora la spiaggia è troppo affollata per scoprire in una occhiata se c’è anche quell’uomo. La riva è un’autostrada del Sole. Una ininterrotta fila di gente che va e che viene in mezzo ai racchettoni confonde tutto fra le palle in volo, la luce, i castelli di sabbia, e la ragazza con la borsa di Ralph Lauren si avvicina.
Elena non possiede una borsa simile?
– Elena…
La ragazza le passa accanto senza voltarsi.
– Insomma signora, al Gabbiano c’è troppo rumore. I ragazzi che tornano dalle discoteche, le strilla dei bambini, e poi quelle fogne nel piazzale esterno quando è scirocco!
– Come diceva, signorina?
La Bertani sta per ripetere tutto dall’inizio mentre Daniela si è alzata. È ancora una bella donna, senza un filo di cellulite, e ha posato con delicatezza il cappello di paglia sopra la sdraio.
– Che caldo… mi perdoni – pettinandosi l’acconciatura – ma ora vado proprio a fare il bagno.
Non era Elena.

Stringere con delicatezza le due narici fra indice e pollice, soffiare con leggerezza, scendere come danzando un valzer dentro il blu. Sotto i suoi piedi respirano le gorgonie. Un branco di oratine veleggia fra i raggi perpendicolari e Sara regola il jacket. Sta sempre di lato al gruppo dei subacquei, come nuotando da sola, e adesso che ha trovato la posizione corretta pinneggia obliqua, come per farsi accarezzare senza fretta dal mare. Inspira ed espira regolarmente, lascia tondeggiare le bolle verso la superficie e rivolta al fondo, i giochi della luce sulla scogliera e le quadrature serpeggianti sulla sabbia le ricordano un vento che da una finestra aperta riempia tende di seta. Con un guanto di lattice allungato nel mar Tirreno, sta come cercando qualcosa, un’altra mano, la mano assente di qualcuno che lei ama e che nemmeno sa di questo amore.
Prima di partire per l’immersione, ha incontrato Bruno di Roma.
– Siamo a cena da Elena. Ce sarà pure er chitarrista, come se chiama? Walter…
Bruno le ha detto queste cose nel cortile del Gabbiano, tenendo in braccio la piccola Sharon, e le ha dette senza immaginare l’importanza che avevano per lei che intanto continua a scendere senza controllare il manometro e che si avvia verso il fondo, dove abitano le murene.

Con la piccola fra le braccia, Bruno sta seduto a un tavolino del bar, nel cortile del Gabbiano, ancora incazzato per lo schifo dell’Italia ai Mondiali e osserva il gigante di cemento che si alza sopra di sé.
Cento appartamenti.
Tre grandi blocchi addossati al corpo di una collina fra le montagne e la valle. È una sorta di alveare questo Gabbiano, affacciato a est sopra un reclivio di eucalipti e di palme che finiscono su un parcheggio per auto, box coperti da strutture in acciaio e tela lungo una strada interna tortuosa e ripida. Dalla piscina, giù all’ingresso, si salgono due curve spigolose fino ad aggirare il palazzo in uno stretto cortile privato. C’è il bureau e la direzione, un casotto coperto di rampicanti e di locandine pubblicitarie. Oltre a una veranda in legno e più in là di quattro o cinque tavolini, un ristorante e il bar da cui si raggiungono quattro ascensori e le rampe di scale in pietra grigia. Nella sala comune al piano terra i divani degli anni Settanta sono gli stessi di quando aprì il condominio e l’odore dell’umidità vi aleggia simile fin da allora. Più sotto le lavanderie, e, verso l’alto, i sei piani di corridoi a mattonelle rosse che al pomeriggio, quando il sole traverso le accarezza, si scaldano e sembrano ammorbidirsi come una terracotta sotto ai piedi nudi. Una porta dopo l’altra, le entrate degli appartamenti scorrono con la parvenza di una infinita ripetizione. Appartamenti tutti uguali all’interno. Identici per grandezza e per ubicazione, stessi mobili, stessi sanitari, stesso tutto e tutto molto spartano. Ma lasciando il cortile, si può salire ancora. Un’altra curva ripida si apre dietro il bureau e minacciato da un bosco di felci che crescono intorno alle recinzioni, un campo da tennis offre la vista dei tetti e il riflesso del mare.
[…]

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