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Il Diario
di una principessa ebrea tratta fatti complessi,
intricati e anche scabrosi della recente storia lituana,
avvenuti durante la seconda guerra mondiale. Fatti secretati
e rimasti a lungo ‘proibiti’, sui quali si è tornati,
all’inizio del nuovo millennio, soprattutto in letteratura.
Il romanzo appartiene alla produzione più recente di Saulius
Šaltenis, scrittore dall’ampio bagaglio culturale,
flessibile nel pensiero, interiormente libero.
Con lo stile di una sceneggiatura cinematografica, l’autore
narra la vicenda della giovane Ester Levinsonaitė, la cui
storia scorre come sul grande schermo: tragica e tenera fin
dall’inizio, fra mille difficoltà, e parallelamente
all’occupazione nazista della Lituania, la persecuzione e lo
sterminio degli ebrei, l’arrivo dell’Armata rossa, la
resistenza armata lituana dei “Fratelli del bosco” e
quant’altro allora avvenne...
* * *
La commemorazione del 14
giugno
14 giugno 1943. Tre anni da quel giorno che per la prima
volta mi ubriacai e deportarono i miei genitori in Siberia.
Chiedo perdono. Il giornale è pieno di terribili fotografie
di lituani assassinati a Rainiai e di polacchi riesumati dai
tedeschi a Katyń. In quel momento capii come doveva apparire
mia sorella e come anch’io avrei giaciuto, nera e senza
volto. Mi vennero meno le gambe e presi a guaire per la
tanta voglia di vivere che mi era venuta.
– Davvero io non posso morire, io sono già morta una volta,
ormai mi sono completamente disabituata a morire. E poi
perché io? – domanda Elisa, sollevando il capo dal suo
diario.
Oh, morte... Nessuno può sfuggire al tuo sguardo che
irrigidisce! Tutti fanno i furbi, fanno perdere le tracce.
Ma tu li riconosci e scegli quelli che provano a sfuggire
alla morte: polacchi, lituani ed ebrei. Tu segui le mie
orme.
– Dopotutto io non sono Ester, sono Elisa, sono solo una
piccola ragazzina, alla quale inaspettatamente si fermò il
cuore e tu, o morte, fermati vicino alla sua vera tomba.
Convinciti che io sono davvero morta e disperdi le mie
tracce... Poiché io amo, desidero vivere, prima ero soltanto
un topolino solitario nel divano che non serviva a nessuno.
Cuocevamo il pane. Milda mi pettinava i capelli. Di notte
rincalzavamo le patate, pulivamo i solchi dalle erbacce.
Icik sradicava i germogli delle barbabietole rosse. In
quell’occasione scrissi la poesia “Luna, sole degli ebrei”.
Elisa richiude il suo diario segreto. Tutto è tranquillo,
riscalda un caldo sole estivo. Dopo aver ordinatamente
sistemato nell’erba le sue scarpette dai tacchi consumati,
rannicchiata sul divano ad occhi chiusi, Elisa, ormai
sonnecchiando, dice placidamente:
– Isolda, quali sciocchezze mi ricordi... ma è davvero
importante ora? No, io non mi sono mai baciata con te con la
lingua... Forse ci ho provato? No, non credo proprio. Tu non
hai nemmeno la bocca.
Ho giusto sentito dire che Lia rideva con un’amica perché
così piace baciarsi alle francesi... Io non sono francese,
smettila, Isolda, vergognati...
* * *
Autunno 1945. Compleanno di
Elisa.
Anno ebraico 5706.
Milda inginocchiata, tenendo un ago in bocca, raddrizza il
vestito di una donna e domanda:
– Signora Kazimiera, quanto vuole che glielo accorci? Due
dita o tutto il palmo?
– Tutto il palmo – dice la signora Kazimiera, guardandosi
nel grande specchio del salone.
– E le spalline, devo forse alzarle un po’? Magari ci
cuciamo dei cuscinetti di cotone?
– Sì, d’accordo... Però ho una spalla più scesa – dice la
signora Kazimiera e dopo un po’ aggiunge – per il lavoro...
Tutto sulle mie spalle... ora mio marito a casa è come una
luna nuova. Gli hanno rifilato un timbro e l’hanno nominato
direttore di distretto. E a mio figlio Viktoras potrete
cucire una giacchettina e dei pantaloni?
– Certo che potremo – dice Milda – prendi le misure al
ragazzo, principessa.
Un adolescente di tredici forse quattordici anni, timido
come se fosse in chiesa a ricevere la prima comunione,
guarda Elisa quando gli passa il metro sulle spalle, lungo
le braccia e misura l’ampiezza del bacino.
– Principessa è il nome della sua ragazza? – domanda la
signora Kazimiera.
– No – dice Milda – si chiama Elisa, ma io e mio marito la
chiamiamo così.
– Ah, ecco – dice la signora Kazimiera – è proprio simile a
una principessa... le manine e le dita sono sottili. Troppo
graziosa per i lavori di campagna. Chissà, forse sarebbe una
buona sposa per il mio Viktoras.
E Viktoras a quel punto arrossisce perché viene menzionato e
perché Elisa, china, misura la lunghezza delle sue gambe,
dal tallone fino al punto vita e la parte interna delle
gambe, dal piede fino al cavallo.
Elisa si appunta su un pezzetto di carta le misure di
Viktoras e poi nella sua stanza le ricopia nel quaderno di
cucito con ritagli di vestiti, giacchette e pantaloni
disegnati.
La signora Kazimiera se ne va dopo aver lasciato del burro,
del formaggio e qualche banconota russa sgualcita.
Elisa chiude un cassetto, ma poi lo riapre, prende il
certificato di nascita che giace sul fondo e poi gli mette
accanto delle fotografie sue e della ragazzina morta presto:
entrambe vestono una giacchina alla marinara e abitini
simili, con i calzettoni fino al ginocchio.
– Siamo diventati ricchi – dice Milda. – E sulla scatola
d’oro ci sono i costumi da recita del nonno di Vladas. Da
vent’anni, circa una recita l’anno. Li adatteremo, se
occorrerà, e li venderemo. Non è che per questo ci
metteranno in prigione come Elena?
Milda siede accanto alla macchina per cucire Singer, solleva
il capo e domanda:
– Cos’è successo, principessa? Perché mi guardi in modo così
strano?
– Nulla. Oggi è il compleanno di Elisa.
– Me ne sono proprio dimenticata, non ho nessun regalo – si
profonde in scuse Milda.
– Oggi non è il mio compleanno, ma di quella piccola
ragazzina, alla quale si è fermato il cuore... è il
compleanno di quella Elisa.
– Il mio e quello di Vladas è in gennaio... In
quell’occasione prepariamo sempre la torta di lamponi. Oh,
Dio, non abbiamo festeggiato il tuo compleanno neanche una
volta. Perché mai? Perdona, principessa, non ci ho proprio
pensato... In verità non so quando sei nata. Intendo te, non
quella ragazzina morta...
– Ester nacque in primavera... alla vigilia della festa di
Purim-Ester – dice Elisa. – Ma io ormai non sono più Ester.
E Elisa non si ricorda quasi nulla, solo del suo
battesimo... Ma Ester si ricorda sempre del tragitto fino
alla fossa degli ebrei... Io non so più chi sono... Come se
non fossi mai nata... Non so come continuare a vivere.
– Ma tu... – dice Milda confusa – tu sei nata... hai
detto... Lo sai quando?
– Se lo so, quando sono nata? Sono nata, quando Milda mi
sollevò nuda e insanguinata e... e... – Elisa all’improvviso
salta su e corre all’aperto e poi per il viale di tigli,
così com’era, con il metro al collo e il quaderno delle
misure in mano.
Milda esce sulla veranda e rimane a guardare con un palmo
posato sulla bocca. Nello spiazzo fra i cespugli Elisa
crolla sul divano.
– Taci, Isolda – dice alla testa lignea di donna sullo
schienale. – No, non digiunerò più come Ester, non aiuterò
più nessuno. Sono già morti tutti, tutti già salvati. Dio,
come potrò aiutare me stessa? Muoio di nostalgia. Milda
sedeva alla macchina per cucire ed io avrei voluto baciarla,
baciarla, coprirla di baci, mi sono a stento trattenuta. Ho
avuto spavento e sono fuggita... Poiché lei mi
allontanerebbe, direbbe, ma cosa sbaciucchia questa
ebreuccia? Cos’altro vuole ancora? Ha tutto, vive come una
principessa.
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